RELIGIONI NEL MONDO
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IL GIAINISMO, LA RELIGIONE DEI “VINCITORI”

C’è una religione in India, praticata da circa 5 milioni di fedeli nei pressi di Bombay, antica quanto il Buddhismo, il Confucianesimo ed il Taoismo: è il Giainismo. Giaina è il “vincitore”, colui che riesce a dominare le proprie passioni e perfino la propria sensibilità, così da diventare indifferente nei confronti di qualsiasi stimolo esterno. È colui che vive in comunione con tutti, che ha abolito in sé ogni forma di violenza (ahimsa) e che pratica tolleranza, amore, servizio nei confronti di ogni organismo che respira.
Alcuni si chiedono se il Giainismo è religione o filosofia. Il suo messaggio non è rivelazione di un Dio, ma è norma di vita ed è maniera esigente di pensare, finalizzata a raggiungere la più grande e perfetta felicità. In questo senso, se non è obbedienza all’Assoluto, di esso è ricerca sincera.
  • Origine antica
    Il Giainismo risale al VI secolo prima di Cristo, cioè a quel periodo storico di grande fermento religioso, che ha visto nascere in India il Buddhismo, in Cina il Confucianesimo e il Taoismo, in Persia lo Zoroastrismo. A differenza del Buddhismo, il cui messaggio è concentrato nell’azione della mente e nel superamento del desiderio, il Giainismo propone una via ascetica di completo dominio di sé nel rispetto totale di ciò che respira.
    Il messaggio è del monaco Mahavira, il “grande eroe” (Buddha fu invece l’“illuminato”), che sarebbe morto, secondo la tradizione, a 72 anni nel 527 a.C.. Si chiamava Siddharta Vardhamana. A circa 30 anni entrò nella comunità dei Nirgrantha (cioè dei “senza legami”), fondata 250 anni prima da Parshvanatha. Dopo un anno però trovò insufficienti le regole della comunità e, abbandonato ogni vestito, decise di girovagare nudo per i villaggi e le città predicando la nuova via. Divenne così il 24° Tirthankara, cioè l’ultimo dei grandi benefattori dell’umanità, venerati dai Giaina, che liberano gli uomini da ogni struttura, aiutandoli ad essere se stessi.


  • I cinque voti
    Ancor oggi i Giaina vivono una dottrina antica di 2500 anni. Non conoscono la fede in un Dio creatore. Prendono come regola di vita il messaggio di fratellanza e solidarietà che deriva dalla vita e dal mondo, considerato eterno. La liberazione, per loro, può essere raggiunta con il dominio totale di sé, possibile con i cinque voti.
    Il primo è il non uccidere o recar danno alla vita (ahimsa). Non è un “vivere e lasciar vivere”, ma è un aborrire ogni forma di violenza. Sono noti i Giaina vestiti di bianco che percorrono l’India con una pezzuola sulla bocca per non uccidere con il fiato i moscerini e con uno scopino in mano per ripulire il terreno da eventuali lombrichi o insetti prima di appoggiare i piedi. Il Giaina per questa “ahimsa” è vegetariano e, all’apice del suo cammino, si lascia morire d’inedia, perché la digestione è, forse involontariamente, causa di violenza. L’“ahimsa” è vissuta anche interiormente, per cui è un dovere liberarsi continuamente dai pensieri violenti.
    Il secondo voto è la ricerca incondizionata della veridicità e la volontà di non offendere mai alcuno (satya). Il Giaina in ogni controversia si sforza di conoscere tutte le angolature possibili: “soltanto nella totalità dei punti di vista la verità si fa strada nell’uomo”.
    Il terzo voto è il non acquisto e il non possesso di beni in proprietà (asteya). Il distacco è fondamentale per una vita sociale senza conflitti ed ancor prima necessario per essere veramente liberi.
    Questi tre primi voti sono la base di una vita etica caratterizzata da una amicizia profonda fra gli uomini, la quale si traduce in piccoli servizi umili e silenziosi verso tutti. I tre voti sono praticati in qualche misura anche dai laici, che si propongono di non possedere più del necessario, in modo da evitare l’attaccamento.
    Il quarto voto è la rinuncia all’uso della sessualità (brahmacharya), al fine di liberarsi da ogni desiderio sensibile e di arrivare all’apice del cammino di liberazione, rappresentato dal quinto voto che è il distacco totale dai sensi (aparigraha). Si tratta dell’equilibrio interiore, della tranquillità dello spirito e dei sentimenti, dell’impassibilità totale. A Svravan Bengala in India c’è una statua scolpita sulla collina dieci secoli fa, di 17 metri di altezza, dove un re Giaina è raffigurato nudo: i serpenti sono attorcigliati attorno alle sue gambe e così l’edera, per indicare la impassibilità raggiunta.


  • Impegno educativo
    La via indicata da questa religione è un cammino non facile, di grande fascino ed impegno.
    I Giaina dicono che l’educazione inizia con la preparazione della madre prima della nascita del bambino e continua con interventi educativi. Fra gli insegnamenti da impartire ai ragazzi ce n’è uno singolare: non tagliare un albero verde che non puoi abbracciare da solo, perché è necessario alla vita degli uomini e degli animali.
    Fra le pratiche richieste c’è la meditazione dei testi sacri, la confessione - riconciliazione, i pellegrinaggi, la venerazione dei Tirthankara.
    Come abbiamo detto, il Giainismo è una religione dove la ricerca dell’Assoluto prevale sull’incontro con Dio, dove la vittoria su se stessi comunica già una esperienza divina. È indubbio che si tratta di una proposta di sorprendente modernità, proprio perché impegna ad una grande riconciliazione con gli uomini e con la natura, come oggi si sente il bisogno.
(G. Dal Ferro)